Intervista esclusiva a Domenico Progna: "L'Atalanta non deve porsi limiti, Percassi lungimiranti. Bari? Dopo quella finale playoff..."

La nostra redazione ha intervistato l'ex difensore di Atalanta e Bari, attuale responsabile del settore giovanile del Campobasso. Gli elogi a Gasperini, i ricordi dei primi passi nel calcio della famiglia Percassi e una riflessione sul futuro del club pugliese

Il parco giochi Atalanta ha “ufficialmente” riaperto i battenti. La settima "versione" della Dea targata Gian Piero Gasperini diverte e vince che è un piacere. La squadra è in corsa su tutti i fronti e a Bergamo si è tornati a sognare. La redazione ha raggiunto Domenico Progna, uno che ha nel cuore i colori nerazzurri per averli difesi per quasi 200 partite sul finire degli anni ’80. La sua è stata un’Atalanta ancora amatissima dai tifosi, l’unica, prima di quella attuale, in grado di farsi strada in Europa, addirittura militando in Serie B. All’attuale responsabile del settore giovanile del Campobasso, la squadra della sua città e con la quale ha debuttato nel grande calcio, abbiamo chiesto un parere anche sul difficile momento del Bari, formazione nella quale Progna ha militato per due stagioni.

Progna, l’Atalanta vola e punta al ritorno in Champions. Si può dire che sia davvero Gasperini il segreto di una squadra che riesce sempre a essere competitiva pur cambiando sempre tanto sul mercato?

La politica dell’Atalanta è sempre stata quella di prendere giocatori giovani, pescandoli dal proprio vivaio o da altri team, per poi formarli e proporli ad alti livelli. La società quindi ha meriti importanti, ma non c’è dubbio che se dobbiamo parlare di “segreto” questo sia sicuramente Gasperini. L'allenatore ha il pregio di trasmettere le proprie idee sul piano tattico, ma anche di trasformare calciatori “normali” in talenti che poi il club riesce a vendere a peso d’oro.

La squadra è in corsa su tutti i fronti, ma tra qualche settimana potrebbe presentarsi la necessità di “scegliere”. Può “valere” di più tornare in Champions League o vincere un trofeo come la Coppa Italia per suggellare questo ciclo? Lei visse una situazione simile nel 1988, quando eravate in lotta per la promozione in Serie A e vi spingeste fino alla semifinale di Coppa delle Coppe.

L’Atalanta è l’unica squadra che può vincere contro tutte le big, anche se poi può pure capitare di prendere qualche “imbarcata”. A parte Inter e Juventus che hanno parecchi punti di vantaggio le distanze tra le altre sono minime, quindi l’Atalanta ha tutto per puntare alla Champions League. Anche perché quest’anno i risultati stanno arrivando pure negli scontri diretti. Questo però non toglie che si possa inseguire anche la vittoria di un trofeo come la Coppa Italia, senza trascurare l’Europa League. La rosa è ampia e si può provare ad andare avanti su tutti i fronti, cosa che auguro ad una piazza che merita soddisfazioni.

La sua ultima stagione a Bergamo fu segnata dall’arrivo della famiglia Percassi con la quale raggiungeste subito i quarti di Coppa Uefa. Cosa ricorda di quella proprietà che si era appena affacciata nel calcio e che sarebbe poi tornata diversi anni dopo inserendo stabilmente il club tra le grandi del calcio italiano?

Ricordo bene che subito dopo essersi insediato Antonio Percassi disse che avrebbe investito molto nel settore giovanile. Quella politica ha dato i suoi frutti nel corso degli anni perché l’Atalanta è tornata ad avere un vivaio di primo livello. All'epoca fu decisiva la scelta di puntare su Mino Favini, uno dei miglior talent scout in assoluto del calcio italiano. I Percassi furono lungimiranti allora così come lo sono stati adesso continuando a puntare sul vivaio, ma anche acquistando lo stadio. Nel calcio di oggi avere un impianto di proprietà può fare la differenza e lo dimostra l’esempio della Juventus.

Molto diverse è la situazione del Bari. Non troppo tempo fa disse che vedeva più probabile la cessione del Napoli da parte dei De Laurentiis piuttosto che del Bari, parere condiviso da molti. Secondo lei può essere cambiato qualcosa dopo il traumatico epilogo della scorsa stagione e le difficoltà che si stanno incontrando in quella attuale, con i tre cambi di allenatore?

Non conosco i piani dei De Laurentiis, ma tra due o tre anni arriverà il momento di scegliere… A Napoli hanno fatto qualcosa di enorme vincendo lo scudetto e qualificandosi spesso alla Champions, ma ripetersi non è facile e lo abbiamo visto. Quella di Bari potrebbe essere la piazza giusta per provare a rifare qualcosa di importante, anche senza toccare quei picchi. Che questa stagione sarebbe stata travagliata era purtroppo da mettere in preventivo. Ripartire dall’ultimo minuto di quella finale playoff era difficilissimo. Per farlo si sarebbe dovuta costruire una rosa in grado di dominare il campionato. Non so se sia stato commesso qualche errore di valutazione dopo l’esonero di Mignani. Il compito di Iachini non sarà semplice, ma qualora riuscissero a qualificarsi per i playoff tutto diventerebbe possibile.

Lei ha toccato con mano l’entusiasmo della piazza in quel 1991 in cui eravate partiti sognando la Coppa Uefa con grandi nomi, salvo poi finire poi in B e impiegando due anni per risalire. Il San Nicola era stato inaugurato da un anno e ci fu il record di abbonamenti. Riferendosi a quell’annata storta ha poi parlato di “peccati di presunzione e superficialità”. Vede parallelismi con l’epoca attuale?

Sì, qualche analogia può esserci. L’anno prima la squadra si salvò alla penultima giornata battendo il Milan di Sacchi, ma Salvemini fu esonerato dopo due giornate del campionato successivo ascoltando gli umori della piazza che voleva cambiare. Fu costruita una rosa forte, ma purtroppo la svolta negativa coincise con il grave infortunio di Joao Paulo contro la Sampdoria alla seconda giornata. La società non lo sostituì e ci trascinammo tutto l’anno il problema del gol, pur subendone pochi. Quest’anno può essere stato sbagliato qualcosa a livello di programmazione, ma come ho detto era difficile ripartire con la “zavorra” di quella finale playoff.

L’ultima domanda non può che essere sul suo Campobasso. La piazza sembra aver ritrovato entusiasmo grazie alla nuova proprietà. A prescindere da come si concluderà il campionato ci sono i presupposti per creare finalmente un progetto solido e duraturo, oltre che per la prima squadra, anche per il settore giovanile che lei dirige?

La proprietà americana guidata dal presidente Rizzetta vuole fare le cose in grande. La convenzione di nove anni stipulata con il Comune per la gestione dello stadio lo conferma. La D purtroppo è un campionato difficilissimo in cui vince una sola e nel nostro girone ci sono almeno tre-quattro squadre che possono ambire. Oltre alla Sambenedettese non trascurerei L’Aquila e l’Avezzano può rientrare. Quanto al settore giovanile, siamo partiti quest’anno anno perché nella scorsa stagione il club era in Eccellenza e praticamente non c’era nulla. Il Molise non è una realtà come Bergamo, siamo in costruzione, ma io e i miei collaboratori lavoriamo con impegno. Oggi non pensiamo a far uscire giocatori che arrivino ad altissimi livelli, la speranza in primo luogo è quella di formare ragazzi e poi uomini con valori importanti.