Roma – Per l’appuntamento con le Super Interviste, abbiamo il piacere di farvi conoscere meglio Gianni Merlo, firma storica della Gazzetta dello Sport e Presidente dell’Associazione Internazionale della Stampa Sportiva.
Buongiorno Gianni, ci racconti come è iniziata la tua avventura di giornalista sportivo?
La mia avventura è iniziata per caso perché io ero un atleta e mio padre, che era un grande appassionato di atletica, negli anni ’60 aveva comprato una piccola rivista che si chiamava ‘Atletica leggera’: cominciai a scrivere proprio per aiutare mio padre. Alla fin fine non ho scelto di fare il giornalista. In verità sognavo di fare l’architetto, ma sono finito a studiare legge a Pavia. Poi nel ’71, mentre stavo disputando una gara all’Arena di Milano, Giulio Signori, grande giornalista di allora, mi invitò ad andare con lui in auto fino ad Helsinki per seguire i campionati europei. Siamo partiti in auto per questa avventura e non sono più tornato all’Università. Mi mancava un esame e la tesi, ma ho deciso di proseguire la mia carriera giornalistica. Nel ’72 ho raccontato la mia prima Olimpiade, quella di Monaco, come assistente telecronista della televisione svizzera italiana. Successivamente sono stato chiamato da Paolo Rosi a fare il suo assistente alla Rai. Poi nel ’74 è arrivata l’offerta della Gazzetta dello Sport e da allora sono ‘uomo rosa’.
L’amore per lo sport però è nato sul campo perché, prima di diventare giornalista, sei stato un atleta specializzato nei 400 metri. Ha ragione chi dice che il primo amore non si scorda mai?
Si, sono stato un atleta e l’amore è nato giorno dopo giorno. Non ha ragione chi dice che il primo amore non si scorda mai perchè i cambiamenti fanno parte della vita e dell’evoluzione dell’uomo.
Oggi sei una delle firme storiche della Gazzetta dello Sport: quel ragazzo che, giovanissimo e senza esperienza, pubblicava il suo primo articolo ci avrebbe mai scommesso?
No, non ci avrei mai scommesso. Il mio primo articolo per un quotidiano lo scrissi due anni prima del mio arrivo in Gazzetta. Ho iniziato collaborando con il giornale bulgaro Naroden Sport e nel corso del tempo ho scritto per diverse realtà editoriali, come ‘Gazzetta del Popolo’ e ‘Stadio’. Ho vissuto anche interessanti collaborazioni in televisione e poi sono arrivato in Gazzetta. Per me è stato veramente come un sogno ed ho avuto una fortuna incredibile: mio padre era molto amico di Brera e di altri bravi giornalisti di allora e così ho potuto conoscere il meglio del giornalismo italiano, senza pensare che un giorno sarei diventato anch’io giornalista. Quelle amicizie mi hanno insegnato molto.
Poi è arrivata l’esperienza dell’AIPS, dove attualmente ricopri, per la terza volta consecutiva, il ruolo di Presidente. E’ il risultato di un sogno perseguito con tenacia da sempre o un obiettivo a cui sei giunto per caso, attraverso le esperienze personali e professionali?
E’ un’esperienza molto interessante perchè abbiamo creato dei corsi per i giovani giornalisti dove insegniamo tutti gli aspetti del mestiere. E’ una scuola moderna, basata sull’insegnamento delle nuove tecnologie. Abbiamo anche fatto una grossa battaglia contro la corruzione nello sport, in particolar modo contro la manipolazione dei risultati negli sport individuali. Nel 1986 mi fu proposto di diventare Presidente della Commissione di atletica dell’AIPS. Io ero molto sorpreso, ma ho accettato. In quel momento è iniziata la mia avventura all’interno dell’Associazione e qualche anno dopo, nel 2005, ne diventai Presidente. Da allora svolgo con piacere questa funzione che è molto impegnativa, molto più impegnativa di quanto pensassi. Ma è anche molto stimolante perchè incontro grandi personalità, come Ministri e Presidenti della Repubblica. Questa esperienza professionale mi ha fatto fare un grande passo in avanti.
Nel corso della tua carriera hai raccontato tante gare. Quale ti è rimasta nel cuore e ricordi con più emozione?
La pagina che ricordo di più l’ho scritta nel ’75, quando ancora non conoscevo questo mondo. Gustav Thoeni aveva vinto la coppa del mondo di sci contro Ingemar Stenmark, un avvenimento epocale per quei tempi. Sei mesi dopo questo grande evento scrissi un pezzo sull’inizio di una nuova stagione e per me fu un’esperienza esaltante: venni a conoscenza di nuovi personaggi ed entrai in quello che per me era un nuovo mondo dalla porta principale. Questo fu il primo grande servizio importante che scrissi sulle pagine della Gazzetta dello Sport.
E’ nota la tua amicizia con Pistorius. Hai scritto insieme a lui un libro dedicato proprio ai suoi successi sportivi. Come è cambiato l’atleta in seguito alla triste vicenda personale che ha vissuto?
Mi dispiace che le cose per lui siano andate in questo modo. Quel tribunale lo cambierà profondamente. Non ho più avuto modo di sentirlo. Non ho voluto entrare nella sua intimità, nel suo dramma. In questi casi, bisogna rispettare la privacy.
Qual è secondo te il fattore determinante alla base degli ultimi non eccellenti risultati dell’atletica italiana? Come vedi il futuro dell’atletica leggera italiana?
Io vedo un futuro difficile per l’atletica perchè per troppi anni si sono trascurati fattori importanti: si è continuato a gestire l’atletica esattamente come si faceva 30 anni fa. Non c’è stata nessuna evoluzione nel tempo. Si tratta di una carenza di fondo della dirigenza generale. È un mondo che è rimasto ancorato al passato e questo errore si paga duramente. L’atletica avrebbe tanto bisogno di una vera rivoluzione: bisogna cambiare mentalità, il modo di affrontare i problemi e il modo in cui organizzarsi. Non abbiamo un’atletica che abitua i giovani ad un mondo migliore e più moderno. Inoltre, non riusciamo ad attirare l’attenzione del pubblico perchè ad una gara regionale la gente si annoia, porta il figlio una volta e poi non viene più. Serve una rivoluzione epocale che deve partire dal basso. Facendo un paragone con il vino, non bisogna cambiare solo l’etichetta, ma anche la bottiglia e il contenuto.
Quali saranno secondo te gli atleti che ci potranno regalare soddisfazioni nelle prossime rassegne continentali e intercontinentali?
Ci sono dei buoni giovani, ma sarebbe sbagliato anche citarli, per adesso bisogna lasciarli crescere. Questi buoni giovani hanno bisogno anche di allenatori adeguati. Quello che è venuto a mancare nell’atletica sono gli allenatori di alto livello perchè i migliori sono andati a guadagnarsi da vivere in altri sport che garantiscono loro uno stipendio diverso. Nell’atletica purtroppo non ci sono più scuole che possano creare nuovi talenti perchè ci sono senz’altro allenatori bravi, giovani ed entusiasti, ma non viene concessa loro la possibiltà di crescere e migliorare. Il Coni ha distrutto e cancellato i Giochi della Gioventù anni fa e noi adesso ne paghiamo le conseguenze. I Giochi della Gioventù erano un volano incredibile per tutti gli sport, non solo per l’atletica. Rappresentavano l’unico momento in cui si creava un interesse in Italia a livello giovanile, e noi lo abbiamo ucciso.