Siamo entrati ufficialmente nella settimana che ci porterà alla Maratona di Roma. La nostra testata, come ormai noto, parteciperà alla corsa grazie all’iniziativa Maratoneta SuperNews, col supporto di due atleti e una testimonial. Proprio quest’ultima, Antonella Cottone, per conto della nostra redazione ha avuto il piacere di intervistare una leggenda dello sport italiano e del mondo della corsa, Giacomo Leone. Chi meglio del vincitore della Maratona di New York del 1996, nonché ultimo italiano ed atleta europeo a vincere la corsa più lunga della Grande Mela, poteva parlarci dell’imminente grande evento nella Capitale e del momento che sta vivendo l’atletica leggera italiana.
Antonella: che voto dai al movimento italiano dell’atletica leggera attuale? E quali sono le ricette per crescere ancora?
Giacomo: allora, all’atletica attuale 8 +, perché stiamo vivendo un periodo d’oro, frutto di investimenti di 10 anni fa. Perché bisogna dire la verità, in tutte le cose gli atleti non si creano dall’oggi a domani, ma sono frutto di investimenti fatti 10-8 anni fa e piano piano si raccolgono i frutti. Che cosa bisogna fare? Continuare ad investire sul territorio, sulle regioni che sono la vera base dell’atletica leggera, la capacità di reclutamento di nuovi giovani e soprattutto di organizzazione di gare che stimolano i ragazzi ad andare avanti, a mettersi in gioco e innamorarsi dell’atletica. Quindi la ricetta per continuare a crescere e migliorare è solo quella: investire sul territorio, perché poi si creano gli atleti per il futuro.
Antonella: quali sono gli atleti del futuro dell’atletica leggera italiana?
Giacomo: io direi che gli atleti attuali saranno anche gli atleti del futuro per i prossimi quattro anni almeno. Ok, per quattro anni garantiti potranno ancora darci un sacco di soddisfazioni. Alle loro spalle c’è un bellissimo movimento, sia da allievi che di juniores, ma ricordiamoci di dare tempo per maturare. Non è importante come qualche vecchio proverbio che dice “meglio un uovo oggi che la gallina domani” ma esattamente il contrario, seminare per raccogliere tanto in futuro.
Antonella: parlando di maratona, tra poco ci sarà quella di Roma. Qual è il metodo di allenamento da seguire per chi aspira a diventare un professionista?
Giacomo: innanzitutto maratoneta si nasce, oserei dire, vale a dire la qualità e la resistenza è quasi innata. Noi abbiamo visto tanti che correvano forte i 5 mila e 10 mila, poi sono andati in maratona e non hanno raccolto la stessa qualità di risultati. Quindi io direi che è un lungo cammino che inizia anche dalle categorie juniores, in cui non dico ti devi specializzare sulle distanze lunghe, ma piano piano costruire il motore e soprattutto costruire la mente ad affrontare la distanza lunga come quella di una maratona. Quindi tanta quotidianità e tanta programmazione, soprattutto.
Antonella: per un runner è più importante la velocità o la distanza?
Giacomo: entrambe. Non può esistere la velocità senza modularla in funzione della distanza. E la distanza ti obbliga a modulare la velocità. E’ logico che per una gara di 5 km potrò osare e andare un po’ più veloce, perché anche se arriva il picco di acido lattico magari la riesco a chiudere. In maratona non mi posso permettere tutto questo, anzi devo modulare la mia velocità in funzione del fatto che devo durare più di due ore.
Antonella: chi meglio di lei può parlarci di come prepararsi ad una maratona, dal momento che nel 1996 ha vinto quella di New York 2:09:54. Ci racconta com’è arrivato ad un traguardo così prestigioso e cosa ha provato al momento della vittoria?
Giacomo: come ho avuto modo di dire prima, un atleta si costruisce in 10-8 anni. Già nel 1989, diciottenne, giungevo terzo ai campionati europei 20 km. L’anno dopo ai campionati del mondo juniores giungevo quinto, primo degli europei e solo dopo gli africani che storicamente monopolizzano risultati di questo sport. Quindi, un lungo percorso che mi ha portato a costruire la maratona, ero ormai già predisposto per le lunghe distanze. Poi l’allenamento due volte al giorno, la capacità di sopportare intensità e quantità di lavoro che pochi riescono ad avere, perché poi quando vinci una maratona del genere non è che tutti la possono vincere, tanto è vero che sono passati 27 anni e non c’è stato più nessun europeo che l’abbia vinta. Una costruzione giorno per giorno, e una specializzazione sempre più finalizzata alla maratona. Questo mi ha permesso di vincere la Grande Mela. Che cosa si prova? Ho tagliato il traguardo, ero felice, ma non avevo realizzato perché c’è l’incoscienza, permettetemi il termine, del neofita. Era la mia prima gara importante di maratona, arrivo lì e addirittura la vinco. Per realizzare questo traguardo sono dovute passare tante notti insonni e tanti mesi. Sicuramente è un motivo di orgoglio che porto tutt’ora dentro di me.
Antonella: quanto influiscono le condizioni climatiche sulla preparazione fisica?
Giacomo: almeno il 50%. Io nel 2001 ho stabilito il primato italiano in Giappone con 2h07’52”. La temperatura media oscillava tra i 6° e 8°, non senti freddo perché ormai sei riscaldato, ma è la temperatura ideale per avere un’ottima idratazione senza rischiare di sudare troppo e andare in deficit di liquidi e zuccheri. La differenza tra una maratona calda e una a temperatura giusta è proprio quella.
Antonella: l’alimentazione è importante, è meglio farsi seguire da uno specialista o seguire pochi e semplici regole?
Giacomo: torniamo indietro di 30 anni. Diciamo che nel mondo dell’atletica si improvvisava, ma soprattutto non c’era la mentalità di creare uno staff come ora è fatto dall’atleta, che è il vertice di questo staff, il tecnico, il fisioterapista, il nutrizionista, il medico e il manager. Ai miei tempi si andava molto per sentito dire: è logico, non andavo a mangiare i fritti, bere vino, non mangiavo le patatine, tutte queste cose anche se non era niente di specializzato. Adesso invece il nutrizionista è diventato fondamentale per aiutare l’attesa di altissimo livello nel recupero degli allenamenti, ma soprattutto per creare la grande performance attraverso una corretta alimentazione e, permettetemi, anche miscelazione degli elementi che servono all’atleta.
Antonella: quanto può guadagnare un runner professionista?
Giacomo: adesso la Guardia di Finanza viene a bussare a casa mia (ndr, ride). Rispetto pure a qualche anno fa, una decina anni fa, l’atleta di alto livello, guadagnava, ma soprattutto gli atleti di medio livello riuscivano a portare a casa bei soldini. Le faccio un esempio, io nel 1996 famoso ho fatto una scelta. Da una parte mi era stato chiesto di gareggiare per, più o meno, lo stipendio di un anno. Dall’altra New York mi dava due biglietti aerei. Quindi cosa avrebbe fatto qualsiasi persona con un po’ di giudizio? Avrebbe preso lo stipendio di un anno. L’incosciente come me ha deciso col mio allenatore di prendere due biglietti aerei e di giocarsi all’avventura. Però quella scelta mi ha permesso di vincere la gara sicuramente più famosa al mondo, di diventare, nel bene e nel male, un personaggio comunque ancora ricordato e che mi ha permesso sì di guadagnare abbastanza. Ma rispetto ai guadagni attuali, come è giusto che sia, diciamo che si vive bene. L’atleta di altissimo livello vive molto molto bene.