Roma – Per il consueto appuntamento con i più noti giornalisti sportivi italiani, abbiamo avuto il piacere di intervistare Bruno Gentili, già radiocronista di ‘Tutto il calcio minuto per minuto’ e telecronista Rai della nazionale di calcio, oggi Vicedirettore di Rai Sport. Il suo esordio in radio, il passaggio alla tv e Brasile 2014, dove attualmente si trova per la conduzione degli approfondimenti pre e post gara, sono alcuni dei temi affrontati dal giornalista.
Buongiorno Bruno, ci racconta come ha scoperto la sua passione per il giornalismo sportivo?
E’ stato mio padre, Domenico, giornalista per piu’ di 40 anni al Messaggero, a ‘contagiarmi’ subito fin dalla nascita: tornava tardi la notte e il mattino successivo trovavo accanto alla colazione una pila di giornali. Io ovviamente divoravo quelli sportivi, poi negli anni mi sono avvicinato al calcio giocato che ho praticato, a livello semi-serio, fino alla laurea, fino al ’77, quando giocavo in serie D. Poi, un infortunio alla schiena mi ha impedito di continuare, ma – onestamente – oltre quella categoria non sarei potuto andare. Il calcio lo gioco tuttora con colleghi e amici. Non potrei farne a meno.
Il suo esordio è avvenuto in radio, dove per anni è stato il radiocronista più amato di Tutto il calcio minuto per minuto. Ha ragione chi dice che il primo amore non si scorda mai?
La radio nel mio caso è un virus, è la mia vera grande insostituibile passione, una palestra di parole, una ginnastica mentale, una scarica di adrenalina che la televisione non riesce a trasmettere. Quando sei in radiocronaca è come se giocassi: accompagni il gioco, ‘sei sul pallone’, ti senti in campo, ecco perchè l’urlo-gol radiofonico è più assordante dell’urlo televisivo. E alla fine, ti senti prosciugato per le energie che hai consumato, come un giocatore appunto.
Poi è arrivata l’esperienza della telecronaca. Nei confronti dei suoi predecessori, mostri sacri del giornalismo italiano, il suo motto è stato: ‘chi domanda non fa errori’ o ‘chi fa da sè fa per tre’?
L’umiltà di voler apprendere sempre, anche quando ti senti ‘arrivato’, quindi ‘chi domanda non fa errori’. E soprattutto non devi andare al microfono sicuro di te, l’imprevisto è sempre in agguato e se non sei in tensione è la volta buona in cui toppi, in cui prendi qualche abbaglio. Un pizzico di paura (come se fossi quasi all’esordio) ti dà la possibilità di essere sempre concentrato, di stare sul chi va là.
Tra l’altro lei è il terzo radiocronista Rai della storia (dopo Nicolò Carosio e Nando Martellini) divenuto poi telecronista della Nazionale. Crede sia solo un caso o la radio è una palestra essenziale per poter commentare le partite in tv?
Sono due lavori completamente differenti: in telecronaca hai maggiori responsabilità perchè c’è il raffronto tra quello che tu dici e quello che i telespettatori vedono, e dunque sei maggiormente soggetto alle critiche che nei nostri confronti sono sempre particolarmente feroci: dici 99 cose giuste e una sbagliata e per quella soltanto vieni crocifisso. La Tv però ti dà la possibilità di riprendere fiato, di sceglierti le pause, di sceglierti i tempi d’intervento, fino a quando il pallone non entra – è ovvio – in zona-gol; la radio al contrario non consente rilassamenti, momenti di tregua, un silenzio di 4 secondi è… assordante. Ci vogliono ritmo, capacità narrative e intensità, e un bel vocabolario di scorta. Le difficoltà sono maggiori. Alla telecronaca io personalmente non mi sono mai appassionato, la trovo penalizzante nel racconto, senza fantasia.
Ora è in Brasile per la conduzione degli approfondimenti pre e post gara dei mondiali 2014. Che Italia si aspetta?
Sono in studio a Rio, insieme con Jacopo Volpi, ho quindi una visione globale del Mondiale. Prandelli in questi 4 anni è riuscito a cancellare l’etichetta di un’Italia catenacciara e difensivista, un’Italia che è tornata finalmente a giocare a pallone con un centrocampo di grande qualità. Confermare tutto ciò sarebbe un successo.
Da una nostra analisi risulta che la Serie A appena conclusa è stato il campionato con l’età media più alta d’Europa. La preoccupano queste premesse per la nazionale al mondiale?
Fino ad un certo punto, perchè proprio Prandelli sta incoraggiando i nostri club ad investire sui giovani, come dimostrano le convocazioni di Darmian, De Sciglio, Verratti, Immobile, Insigne, Perin, e altri ancora che potrebbero presto finire sul taccuino del citi’. Speriamo che i presidenti, soprattutto, abbandonino la politica dello straniero a tutti i costi, politica che li porta spesso, come è accaduto negli ultimi anni, ad ingaggiare giocatori all’estero di nessun valore, solo per far cassa, per spingere i tifosi nella corsa agli abbonamenti. Il talento invece a noi non manca, basta ‘volerlo’ cercare, ma la volontà purtroppo non mi sembra ci sia. E’ una cattiva abitudine, tutta italiana. In Spagna, in Germania, in Inghilterra si vince puntando anche sui giovani.
Proteste e scioperi vs tattiche e formazioni: questo mondiale verrà ricordato per…
Verrà ricordato per il caos, per il traffico, per le distanze, per l’afa opprimente e per l’aria condizionata a palla del centro televisivo in cui lavoriamo, ma è un ricordo… tutto mio. Verrà ricordato, io spero invece, per un calcio meno tattico e più spensierato, come quello del Brasile che proprio per questo vincerà il Mondiale.