Roma – L’Uruguay è la nuova vera Corea azzurra. No, non è una sconfitta disonorevole come quella rimediata nel 1966 (per inciso i due attaccanti uruguagi hanno segnato tanto quanto l’intero attacco azzurro sbarcato in Brasile), ma resetta (forse finalmente) i vertici del calcio italiano, così come successo dopo la clamorosa disfatta di quarantotto anni fa. Il Ct Prandelli e il presidente della Figc Abete hanno rassegnato le dimissioni, pagando personalmente un Mondiale avvolto dalle polemiche fin dagli albori. Nel gioco delle colpe, che lascia il tempo che trova, proviamo ad individuare i passaggi a vuoto di questa brutta avventura azzurra.
Disastro Italia, un Ct in balia di sé stesso
Molti, se non tutti, avevano riposto la loro totale fiducia in Cesare Prandelli. Il selezionatore azzurro veniva dall’ottimo Europeo di due anni fa, perso malamente in finale contro la Spagna, che aveva alimentato le speranze di rinascita del movimento calcistico nazionale. I primi scricchiolii si sono avvertiti sul finire delle qualificazioni mondiali: l’Italia ha buttato punti importanti per accreditarsi come testa di serie, meritandosi qualche critica. La gestione del pre Mondiale è stata degna del peggior Tafazzi: la querelle Rossi ha sminuito l’autorità di Prandelli stesso, l’esclusione di Criscito (fatale, visti i problemi sulle fasce laterali) seguita da una battuta poco felice del Ct (“Non ho mica lasciato a casa Maldini”) ha dato la giusta dimensione del nervosismo che ha accompagnato il mister durante la Coppa del Mondo. L’ incapacità di scegliere un modulo adatto per affrontare avversari diversi (il 4-1-2-2-1 visto contro un’Inghilterra sulle gambe non era applicabile contro avversari più in palla come il Costa Rica) ha portato il Ct a scegliere la via breve della difesa a tre, chiedendo al blocco juventino di “giocare come sa” screditando il suo lavoro agli occhi di tutti. I cambi di ieri pomeriggio hanno dato il giusto polso della situazione: la Nazionale era nel pallone, ma Prandelli ancor di più.
Disastro Italia, uno spogliatoio spaccato
Le parole di Buffon e De Rossi a fine gara fanno trasparire che il gruppo azzurro non fosse così unito. Lodare i propri compagni di squadra ed i “senatori” indicando, velatamente, come colpevole qualche giovane leva (Balotelli?) non fa onore a due ex Campioni del Mondo. Sul banco degli imputati vanno tutti, anche Perin ed Aquilani mai utilizzati da Prandelli: le loro non sono parole da leader, ma da monarchi ormai destinati all’esilio. Gli strascichi di un campionato teso non possono essere trascinati in Nazionale e non possono essere usati da alibi. La svogliatezza di Balotelli si è rispecchiata anche in altri giocatori di lungo corso.
Disastro Italia, la difesa ha le sue colpe
Che l’Italia abbia perso il suo “primato” difensivo è cosa nota da tempo. Prendere tre goal a difesa schierata lo è un po’ meno. Il goal di Sturridge è un errore da matita rossa. Quello di Ruiz è da serie minori. Godin, uno dei migliori colpitori di testa al mondo, è riuscito a staccare indisturbato. La scuola difensiva italiana è in crisi, così come molti dei suoi senatori.
Disastro Italia, un attacco troppo sterile
Balotelli è stato l’unico attaccante ad andare a segno. Troppo poco per una squadra che ha a disposizione anche il capocannoniere del campionato, prossimo puntero del Borussia Dortmund. C’è da dire che gli azzurri, in queste tre gare, hanno costruito davvero poco giocando in maniera confusa e sterile. Sia Balotelli che Immobile non sono mai stati serviti a dovere da chi era preposto a farlo. Ma c’è molto da discutere anche in sede di convocazioni: Prandelli ha chiuso la porta a due mestieranti del goal come Gilardino e Toni, calciatori capaci di far salire la squadra, riuscire a sfruttare i calci piazzati ed esprimersi meglio a ritmi bassi (consoni all’Italia vista in Brasile). Sacrificare uno di loro per Cassano o Insigne è stata una scelta audace che non ha pagato.
Disastro Italia, anche il caldo c’ha messo del suo
Debuttare a Manaus, nel cuore dell’Amazzonia e con un’umidità che sfiorava le tre cifre non è stato un toccasana per gli azzurri. Continuare il Mondiale giocando sul mare (Recife e Natal) ad ora di pranzo ha sicuramente abbattuto le poche resistenze fisiche di Pirlo e soci. Il caldo è stato un po’ il principe degli alibi, Prandelli ne ha parlato subito dopo il fischio finale di Italia-Uruguay. Certo è che il suo staff non è esente da colpe: si è sbandierata la tanto decantata “preparazione a lungo termine”, scimmiottando quella dell’Italia di Sacchi, in vista delle fasi finali della competizione. Pensare già alle semifinali, senza effettuare una preparazione per un girone tosto affrontato in tre posti caldissimi non è il massimo della vita.