Intervista esclusiva a Giuseppe Sabadini: "A questo Milan serve il carattere di Ibra. Un errore cacciare Maldini. Leao deve crescere"
Il parere di un illustre ex giocatore del Milan, nonché tifoso rossonero, sulle difficoltà che sta incontrando la squadra di Pioli e sui possibili rimedi per uscire dalla crisi. L'ex difensore della nazionale dice la propria anche sul bel momento del "suo" Catanzaro.
Sarà la Fiorentina il primo test che sarà chiamato ad affrontare il Milan dopo l’ultima sosta del 2023 della Serie A. In tre giorni tra il match di San Siro contro i viola e quello di Champions League ancora in casa contro il Borussia Dortmund la squadra di Stefano Pioli si giocherà una bella fetta di stagione. Per capirne di più sul delicato momento vissuto dai rossoneri la redazione ha intervistato Giuseppe "Tato" Sabadini, bandiera del Milan per sette stagioni tra il 1971 e il 1978, con quasi 250 presenze totali, tre Coppe Italia e una Coppa delle Coppe in bacheca.
Sabadini, cosa pensa dell’altalenante cammino che sta avendo il Milan in questa stagione? In estate la società ha operato in maniera massiccia sul mercato, ma per ora i risultati non si stanno vedendo. È stato sbagliato qualcosa o semplicemente serve tempo per assemblare i nuovi e farli ambientare nel calcio italiano?
Il Milan in estate ha acquistato tanti giovani e in questi casi serve del tempo per vedere risultati. Non tutti i nuovi sono riusciti ad incidere. Il più impattante direi che è stato Loftus-Cheek, che ha le qualità del trascinatore ed è molto forte anche sul piano fisico, ma purtroppo è soggetto a infortuni. Anche Pulisic e Reijnders nel complesso stanno andando bene, gli altri non stanno brillando. Con i giovani bisogna avere pazienza, possono andare a mille e poi lasciarti da un momento all’altro se pensano di essere arrivati. Prendete Leao: per velocità, tecnica e fisicità ha pochi eguali, ma è troppo discontinuo. Quando si accende la luce trascina la squadra, poi sparisce all’improvviso. Non è ancora un campione, per diventarlo deve smettere di essere intermittente. I campioni possono sbagliare una partita ogni tanto, ma sono quasi sempre decisivi.
Dopo gli ultimi risultati negativi si stanno intensificando le voci sul possibile ritorno di Zlatan Ibrahimovic, con un ruolo in società da definire. Pensa che possa essere d’aiuto alla squadra e prendere di fatto il posto di rappresentanza che è stato di Paolo Maldini o che rischierebbe di offuscare il lavoro di Pioli?
Ritengo che mandare via Maldini sia stato un errore. Conosco Paolo da quando era bambino, è cresciuto qui, è un’istituzione e rappresenta il Milan. Stava già pensando a impostare una campagna acquisti diversa rispetto a quella dello scorso anno, ma purtroppo ci sono stati dei contrasti con la società. Del ritorno di Ibrahimovic penso tutto il bene possibile. Sarebbe molto utile perché ha carattere e personalità. Era uno che comandava nello spogliatoio e potrebbe farlo anche adesso che non gioca più, magari aiutando proprio i più giovani che dopo una buona partita si sentono arrivati. Non credo che il suo arrivo possa oscurare il lavoro di Pioli.
A proposito di Pioli, l’idillio con i tifosi sembra ormai essersi spento. In tanti addirittura ne invocano l’esonero considerandolo il responsabile principale delle difficoltà della squadra. Da osservatore e da ex allenatore come giudica il lavoro del tecnico emiliano? Pensa che la partita contro la Fiorentina potrà già essere decisiva?
Pioli ha fatto un buon lavoro negli anni scorsi e ha sempre avuto un buon rapporto con lo spogliatoio. Adesso, però, lo vedo in difficoltà anche nella gestione delle partite. Se sei avanti 2-0 e ti fai riprendere non una volta, ma due, e a Lecce hanno pure rischiato di perdere, vuol dire che c’è qualcosa che non va. Io sono stato allenatore anche se non in Serie A e dei tecnici moderni non capisco certe sostituzioni programmate a 15 minuti dalla fine per preservare i giocatori più importanti per le partite successive. Ok, oggi si gioca molto, ma penso che nel calcio sia fondamentale pensare a una partita alla volta. La squadra mi sembra in difficoltà anche sul piano fisico, ma del resto la moda in estate ormai è quella di fare sette giorni di preparazione e poi andare a giocare in giro per il mondo per fare soldi. Ai miei tempi si facevano 20 giorni di lavoro atletico e poi si giocavano amichevoli contro squadre minori. La partita contro la Fiorentina sarà importante, ma non credo ancora decisiva per lo scudetto. L’Inter è la squadra più forte, poi c’è la Juventus che ha questo modo particolare di giocare, come si faceva ai miei tempi in cui ci definivano “catenacciari”. Si difendono a oltranza e poi un gol lo fanno. Il Milan è attardato, ma il tempo per recuperare ci sarebbe.
Oltre che quelli del Milan anche i tifosi di altre due sue ex squadre, Catanzaro e Sampdoria, sono rimasti molto legati a lei. Cosa pensa dei percorsi molto diversi che stanno avendo queste due formazioni in Serie B?
La Sampdoria purtroppo sta ancora scontando gli errori della gestione precedente, ma nelle ultime partite la squadra è in ripresa e si può provare ad essere ottimisti. Il Catanzaro lo seguo più da vicino perché ho ricevuto l’incarico di “inviato Aic” sul campo nell’ambito dell’iniziativa istituita in collaborazione con la Lega Serie B. Assisto dal vivo a tutte le partite in casa e mi rapporto con i capitani. In città c’è tantissimo entusiasmo, la squadra gioca bene e sta dando seguito al progetto tecnico delle ultime stagioni. Il campionato è molto lungo, ma si può fare bene.
Ringraziandola per la disponibilità, le faccio le ultime due domande-amarcord sulla sua carriera. Quanto le è pesato lasciare i colori rossoneri l’anno prima della conquista dello scudetto della stella, dopo aver solo sfiorato il Tricolore in un paio di occasioni? E che ricordo può darci del suo amico ed ex compagno Aldo Bet, scomparso nei giorni scorsi?
Il rammarico c’è, sono nato tifoso del Milan e ancora oggi ho il cuore rossonero, lo scudetto della stella me lo meritavo avendone persi due in modo rocambolesco negli anni precedenti. Io però sono sempre stato uno schietto e alla fine pagai caro uno scontro con il ds di allora, Sandro Vitali. Accettai di affidare a lui il mio rinnovo, ma mi arrabbiai quando scoprii che tanti compagni guadagnavano più di me. Glielo feci notare, ma lui mi gelò dicendomi 'Per giocare nel Milan bisogna pagare'. Mi infuriai e discutemmo, praticamente il rapporto finì lì. Alla fine il contratto nuovo lo firmai, ma capii che era cambiato il vento e accettai la proposta del Catanzaro. Aldo Bet è stato uno dei miei più cari amici nel calcio. Pochi giorni prima che morisse ebbi come un sesto senso e cercai di contattarlo dopo tanto tempo che non ci si sentiva. Mi disse che aveva sconfitto una brutta malattia, ma che stava facendo degli accertamenti, gli feci conoscere un mio medico di fiducia, ma lo sentii sfiduciato: ‘Tato – mi disse – sto facendo tante cure, cosa vuoi fare, questa è la vita’. Poi ci salutammo su Instagram e pochi giorni dopo se n’è andato. È stato un grande dispiacere.