Intervista esclusiva a Massimo Agostini: "Ecco cosa ha sbagliato Garcia a Napoli. Il Milan è un mistero. Quella notte a Marsiglia..."
La redazione ha raggiunto l'indimenticato Condor, bomber di Serie A e B negli anni '80 e '90. L'attuale direttore generale del Cesena, ex centravanti di Roma, Napoli e Milan, dice la propria sulla crisi dei campioni d'Italia, sugli alti e bassi dei rossoneri e non solo.
Oltre 100 gol tra Serie A e Serie B, 59 dei quali nel massimo campionato. Il tutto in poco più di due lustri, quei fantastici anni ’80 e '90 in cui il calcio italiano era al top in Europa e nel mondo. Questo il bottino da calciatore di Massimo Agostini. Colui che è passato alla storia del calcio italiano come il Condor è stato anche uno dei pochi ad aver indossato le maglie di tre big della Serie A come Roma, Milan e Napoli, in rigoroso ordine cronologico. Ad Agostini la redazione di SuperNews si è rivolta per avere un parere autorevole sul difficile momento attraversato dai rossoneri e dagli azzurri. Senza dimenticare di fare il punto sulle ambizioni del suo Cesena, del quale è consigliere d'amministrazione.
Agostini, lei è stato allenato da alcuni dei più grandi tecnici della storia del calcio italiano. Da Liedholm a Sacchi, da Boskov a Lippi. Dall’alto della sua esperienza cosa ritiene sia andato storto nella breve avventura di Rudi Garcia al Napoli? Subentrare a Spalletti dopo lo scudetto sarebbe stato difficile per tutti, ma ritiene che il tecnico francese abbia commesso più errori sul piano tecnico o della comunicazione?
Garcia non aveva un compito agevole. Tuttavia, premesso che giudicare dall’esterno non è mai facile, qualche errore è stato commesso. Avrebbe dovuto fare subito mente locale per capire come relazionarsi con una piazza esigente che era appena tornata a vincere. E sarebbe dovuto entrare più in punta di piedi sotto tutti i punti di vista. Non dico che la cosa migliore sarebbe stato riprendere in tutto la gestione di Spalletti, ma ha avuto un approccio sbagliato. Sia come gestione tattica, che a livello di comunicazione. Ha cercato di cambiare troppe cose e troppo in fretta, non ha avuto pazienza. La sua situazione mi ha ricordato un po’ quella di Gasperini all’Inter. Volle cambiare subito tutto e andò male.
A proposito dei grandi allenatori che ha avuto, mi tolga una curiosità. Come si sarebbe trovato con uno come José Mourinho? Lei che conosce la piazza di Roma come spiega l’empatia che si è creata immediatamente tra il portoghese e i tifosi?
Mourinho è un comunicatore eccezionale. Tutto quello che esterna viene immediatamente condiviso ed esaltato dagli addetti ai lavori e non solo. Può permettersi di dire cose e di gestire il gruppo in un modo che per altri tecnici sarebbe impensabile. È stato bravo a costruirsi questa fama negli anni anche grazie ai suoi successi, ma bisogna anche dire che molte delle sue vittorie, a parte la Conference League con la Roma, sono un po’ datate. Io ho avuto grandi allenatori e soprattutto grandi insegnanti di calcio. Tecnici che sono sempre riusciti a dare la propria impronta soprattutto dal punto di vista tattico. Erano meno “sfacciati”, mi passi il termine, come comunicatori. Comunque credo che mi sarei trovato bene con lui, come quasi tutti i giocatori che ha avuto.
Arrigo Sacchi è stato il suo scopritore al Cesena e poi vi siete ritrovati al Milan. Secondo lui uno dei problemi del Milan attuale è la mancanza di una base italiana nello spogliatoio. Pensa possa essere una spiegazione per gli alti e bassi del rendimento di una squadra capace di battere il PSG e poi di farsi riprendere dal Lecce? O vede responsabilità di Pioli?
Sicuramente quello che dice Sacchi ha un fondo di verità, perché per esperienza dico che uno zoccolo duro italiano in un gruppo fa sempre la differenza, anche se il calcio di oggi è cambiato. Però non può essere questa l’unica causa. Solo l’allenatore può sapere e spiegare come si fa a passare dalla vittoria sul PSG alla quasi sconfitta contro il Lecce, ma pure dalla netta sconfitta dell’andata a Parigi ad una prestazione così diversa al ritorno. Ci sono dei black out che vanno oltre l’aspetto tattico e il mercato, un anno e mezzo fa il Milan vinse lo scudetto e oggi qualcosa si è rotto. Quel che è certo è che devono trovare continuità molto in fretta, perché otto punti da recuperare sull’Inter sono già tanti, in mezzo c’è anche la Juventus e il Napoli è vicino. Se non cambiano registro rischiano di restare tagliati fuori dalla lotta per lo scudetto.
A proposito di Milan, nei suoi due anni in rossonero lei ha giocato una sola partita nell’allora Coppa dei Campioni, passata purtroppo alla storia non per motivi tecnici. C’è un ricordo particolare o un retroscena che la lega alla famosa “notte dei riflettori” a Marsiglia?
Il ricordo purtroppo è indelebile, ma non in positivo. Ancora oggi in tanti mi fermano e mi chiedono ‘Com’è giocare al Velodrome?’, ma c’è davvero poco di bello da tenere in mente di quella notte che è stata molto triste anche per la storia del Milan che è rimasto un anno senza poter giocare le Coppe. Abbandonare il campo non fu bello, l’unico ricordo che posso avere è legato alla signorilità del presidente Berlusconi che rinunciò a fare ricorso dopo la sentenza capendo che non sarebbe stato giusto per una società così importante.
Infine e ringraziandola, Agostini, non posso non chiederle del suo Cesena, che ha ripreso a volare in Serie C. Quanto è stato difficile ripartire dopo la delusione dei playoff dell’anno scorso e la sconfitta di Olbia alla prima giornata di quest’anno? E quanto è importante il suo ruolo di “garante” della proprietà agli occhi dei tifosi?
La delusione dello scorso anno è stata forte, l’obiettivo era ripartire senza smembrare per creare una squadra competitiva. Abbiamo cambiato il direttore sportivo, poi dopo Olbia c’è stata la svolta all’interno del gruppo e dello staff tecnico. Adesso avremo due partite importanti da affrontare senza tre giocatori tra nazionali e squalifiche, ma siamo fiduciosi perché stiamo lavorando bene. Il mio ruolo è semplicemente quello di dare una mano, la proprietà vuole riportare il club dove merita di stare. Lavoriamo tutti a testa bassa per arrivare al traguardo che ci siamo prefissati.