Intervista esclusiva a Davide Micillo: “Di Gregorio alla Juventus bel segnale per il movimento. Derby di Genova esperienza unica. Reggina? Quanti rimpianti..."

La nostra redazione ha raggiunto l'ex portiere, tra le altre, di Juventus, Genoa e Cesena, oggi preparatore degli estremi difensori del Trento. I ricordi di una carriera con tante sliding doors, il suo punto di vista sulla scelta dei bianconeri di puntare sull'ex Monza e l'entusiasmo in vista della nuova stagione.

La stagione 2024-’25 del calcio italiano ha ufficialmente preso il via con le prime partite della nuova edizione della Coppa Italia. Dopo un altro weekend “consacrato” alla seconda competizione nazionale scatteranno i campionati. I valori sono in divenire, complice anche il mercato ancora aperto, così dalla Serie A alla C è ancora presto per stilare griglie di partenza. La redazione ha raggiunto Davide Micillo, ex portiere di A e B con oltre 300 partite in carriera, dal 2022 preparatore degli estremi difensori del Trento. Ci siamo affidati alla sua esperienza nel ruolo per capire, tra le altre cose, a che punto sia la storica scuola italiana degli estremi difensori, ancora ai vertici a livello internazionale.

Ciao Davide e grazie per aver accettato il nostro invito. Che stagione sta nascendo per il tuo Trento? Dopo qualificazione ai playoff della scorsa stagione l’obiettivo è migliorarsi? In panchina è arrivato un allenatore ambizioso come Tabbiani, a caccia di riscatto dopo l’ultima, deludente stagione tra Catania e Fiorenzuola. Il mercato ha già portato un profilo di qualità come Disanto e ci sono altre trattative aperte…

Con la qualificazione ai playoff l’anno scorso abbiamo raggiunto un traguardo importante e storico, ma ora si riparte da zero. È chiaro che l’obiettivo minimo sarà ripetersi, ma chi era già qui nella passata stagione è animato dalla forte motivazione di provare a migliorarsi. Per me sarà il terzo anno al Trento e a prescindere dai traguardi che raggiungeremo quello che mi auguro è di vivere un’annata tranquilla che dia soddisfazioni a tutti. Ai nostri tifosi, alla società che è ambiziosa, ma anche ai giocatori e al nuovo staff tecnico, composto da persone preparate e vogliose di fare bene. Nelle ultime due stagioni abbiamo sempre cambiato allenatore in corsa. Il primo obiettivo non può che essere quello di avere finalmente continuità da questo punto di vista. Vorrebbe dire aver fatto un buon cammino. Ci impegneremo tutti al massimo affinché sia così.

Tu conosci bene l’ambiente della Juventus, ci sei cresciuto e c’hai anche lavorato a lungo come preparatore dei portieri a livello di settore giovanile. Proprio alla vigilia del ritorno nelle Coppe, la Juve ha deciso di rinunciare a un portiere come Szczesny per affidarsi a Di Gregorio, reduce da due ottime annate in A, ma mai testato in un grande club e in Europa. Dal punto di vista tecnico come la giudichi questa operazione? Pensi che l’ex Monza possa diventare uno dei migliori portieri della Serie A, se già non lo è?

Prima di tutto rispondo dicendo che sono contento che la Juventus sia tornata ad affidarsi ad un portiere italiano. Szczesny è sicuramente tra i migliori al mondo, ma la nostra scuola è sempre stata all’avanguardia. Almeno in questo ruolo è giusto che anche le grandi abbiano il coraggio di puntare sui portieri italiani. Nello specifico la scelta della Juventus si inserisce nell’ambito di un cambiamento più generale, a partire dallo staff tecnico. Sappiamo che a Thiago Motta piace iniziare a giocare da dietro e contare su un portiere propositivo che partecipi alla costruzione. È vero che Di Gregorio non ha esperienza a livello internazionale, ma non è un salto nel buio perché a Monza ha dimostrato il proprio valore affermandosi tra i migliori portieri della Serie A, insieme a quelli che ben conosciamo delle big, che come detto sono quasi tutti stranieri, da Maignan a Sommer. Ritengo che l’esperienza vada fatta sul campo, quindi ben vengano valutazioni come quella della Juventus. Più che di miglioramento parlerei di cambiamento e come tale va accettato da tutto l’ambiente e dagli addetti ai lavori.

Approfitto della tua competenza per chiedere anche un giudizio su Donnarumma. All’Europeo ha disputato ottime partite, ma durante l'ultima stagione con il PSG ha avuto alti e bassi, soprattutto in Europa. Qual è la vera collocazione del capitano dell’Italia nel gotha dei portieri internazionali? Molti gli imputano la mancanza di progressi nel gioco con i piedi e nelle uscite…

Donnarumma è senza dubbio uno dei migliori portieri del mondo. Al pari dello stesso Szczesny o di Maignan può capitargli di incappare in errori, in particolare nel gioco con i piedi, in cui può succedere di peccare di eccesso di sicurezza e di sentirsi più bravi di quanto si sia realmente. Parliamo però di un problema comune a molti portieri. Stiamo parlando di un ragazzo che ha debuttato in A a 17 anni e che negli anni ha sviluppato ottime qualità non solo sul piano tecnico, ma anche a livello di leadership. Lo abbiamo visto in nazionale. Gigio è un portiere che tutte le squadre vorrebbero, purtroppo ha avuto solo la sfortuna di commettere qualche errore in partite importanti in campionato col PSG o in Champions. Da quanto so però nell’ambiente del Paris è molto stimato e non hanno giustamente alcuna intenzione di privarsene.

Nella seconda parte della stagione 2022-’23 a Trento hai avuto la possibilità di allenare Sebastiano Desplanches. Come descriveresti le sue qualità? Pensi che a Palermo, nonostante l’arrivo di un portiere esperto come Gomis, possa imporsi tra i migliori portieri della B dopo l'annata d’esordio tra luci ed ombre? L’ultimo campionato ha messo in evidenza profili esperti come Micai e Fulignati, quest’anno potrebbe tornare Turati.

Non giudico affatto negativa la prima stagione di Desplanches in Serie B. Sebastiano è arrivato in un ambiente diverso rispetto a quelli che aveva vissuto in precedenza e nel quale già c’era un portiere importante ed esperto come Pigliacelli. All’inizio ha giocato poco, ma quando ha avuto spazio si è fatto valere. Purtroppo ha avuto la sfortuna di infortunarsi proprio nel momento chiave, durante la semifinale playoff. Quanto all’acquisto di Gomis è giusto che una società ambiziosa come il Palermo si sia tutelata assicurandosi un portiere di esperienza. Sarà il campo a stabilire le gerarchie. Durante i sei mesi nei quali abbiamo lavorato insieme ho avuto la fortuna di conoscere Sebastiano anche fuori dal campo. Oltre che un ottimo portiere è un ragazzo solare e sereno, che sa sempre lavorare nel modo giusto. Sono sicuro che questo sarà un anno molto importante per la sua formazione.

Nella tua carriera hai militato in tante squadre e avuto anche compagni importanti. Ti chiedo che ricordi hai dell’esperienza a Ravenna, dove ti affacciasti al grande calcio e dove hai giocato con Vieri e con l’attuale secondo di Spalletti, Daniele Baldini e anche di quella di Cesena. Quell'anno sognaste la Serie A, anche se solo per un girone...

Ricordo con piacere sia la stagione di Ravenna che quella di Cesena, due delle città in cui mi sono trovato meglio insieme a Reggio Calabria. Bobo fece molto bene quell’anno, fu la sua prima annata da titolare e segnò tanto, poi fuori dal campo era già allora un ragazzo vivace, divertente e pieno di vita. A Cesena il rimpianto è legato al calo che subimmo nel girone di ritorno dopo il famoso episodio dello scontro tra il presidente Lugaresi e il guardalinee al termine della partita contro la Lucchese, quando ci fu annullato il gol del pareggio. Scoppiò il finimondo, il Manuzzi fu squalificato per una giornata e anche per questo non riuscimmo più a restare in corsa per la Serie A.

In mezzo alle due esperienze in Romagna debuttasti in A con il Genoa, vivendo la sfortunata retrocessione nello spareggio contro il Padova, al termine di un’annata molto tribolata anche a livello personale…

Debuttare in A a 23 anni con una maglia gloriosa come quella del Genoa fu speciale. All’inizio non giocai, poi trovai continuità di impiego disputando anche ottime partite, ma ebbi la sfortuna di farmi male nel finale della quart’ultima giornata contro la Juventus, che quell’anno vinse lo scudetto. Mi strappai il retto femorale e non disputai le ultime partite, venendo sostituito da Spagnulo che giocò anche lo spareggio. Ovviamente non mi permetto di dire che con me ci saremmo salvati, ma vissi quella retrocessione ai rigori come un dramma perché a Genova mi trovai molto bene. Purtroppo le delusioni fanno parte della vita di uno sportivo. Conservo ottimi ricordi, in particolare del derby vinto contro la Sampdoria proprio poche settimane prima di infortunarmi. Quella della Lanterna è una delle stracittadine più emozionanti d’Italia. Fu speciale superare quella che all’epoca era una grande squadra, con Gullit e i tanti altri campioni che erano in rosa, alcuni dei quali arrivati dal Milan che aveva vinto tutto.

La maglia da titolare l’hai indossata anche alla Reggina nel ’97 in B, andando via alla vigilia della prima promozione in A. È questo uno dei rimpianti più grandi della tua carriera?

Come ho detto prima Reggio è stata una delle città nelle quali mi sono trovato meglio. I rimpianti sono tanti, a partire da quel palo esterno che colpii di testa in una partita chiave nella lotta per la promozione. Era il palo della stessa porta nella quale qualche anno dopo Taibi segnò quello storico gol contro l’Udinese… La squadra sarebbe venuta su l’anno dopo quando io non c’ero più. Tuttavia anche nella mia stagione facemmo molto bene, tenendo testa a Torino e Perugia che poi avrebbero disputato lo spareggio per la promozione. Fu una bellissima annata anche a livello personale, ricordo che parai cinque rigori su sei. C’erano tutti i presupposti affinché restassi, ma il mio cartellino era di proprietà dell’Atalanta che alla fine mi procurò un danno, riportandomi alla base e tenendomi inspiegabilmente fuori rosa per sei mesi. Ancora oggi non mi spiego il perché di quella scelta. Sarei rimasto a Reggio molto volentieri perché si era instaurato un bel feeling anche con l’ambiente.

Le ultime esperienze da titolare le hai avute ad Ascoli, sempre tra i cadetti, e poi al Novara nel 2006. Avevi già le idee chiare sul tuo futuro a fine carriera o la “vocazione” per lavorare con i portieri è maturata in un secondo tempo?

Purtroppo la mia carriera ebbe una svolta negativa dopo la prima annata ad Ascoli. Subii due gravi infortuni al ginocchio in sequenza con altrettante operazioni e riprendersi a 34 anni fu molto difficile. Avevo pensato di smettere, ma a novembre dopo che mi ero ristabilito e dopo la breve esperienza di Catanzaro si presentò l’occasione di tornare nel giro andando a giocare in C a Novara, vicino a casa. Fu un bel modo per chiudere, ma sarei bugiardo se dicessi che la mia ambizione allora fosse quella di allenare i portieri. L’obiettivo era quello di diventare allenatore. Non a caso completai l’iscrizione al corso Uefa A, ma per due volte non sono riuscito ad entrare per un solo punto. Il motivo fu che i miei “concorrenti” erano quasi tutti campioni che avevano giocato in Serie A e conseguirono punteggi superiori, anche se di pochissimo. Cominciai ad allenare i portieri e la cosa mi piacque, lentamente capii che trasmettere la mia passione per il ruolo ai ragazzi poteva essere interessante. Sono rimasto per quattro anni alla Pro Vercelli, poi la lunga esperienza nel settore giovanile della Juventus e adesso mi trovo molto bene qui a Trento. Qui ho lavorato prima con Marchegiani, poi con Desplanches e lo scorso anno con Russo e Pozzer. Quella con Russo in particolare è stata un’esperienza molto bella e gratificante. Prima di arrivare a Trento Alessandro sembrava un’eterna promessa destinata a non sbocciare mai, sono felice di averlo aiutato. Quest’anno affronterò un’altra bella sfida con due ragazzi del 2004 molto interessanti come Barlocco e Tommasi ed un terzo classe 2007 di proprietà del Trento. Non si possono fare paragoni tra il lavoro di tecnico e quello di preparatore dei portieri. Sono gestioni molto differenti come diverse sono le responsabilità. Un conto è occuparsi di 25 “teste”, un altro affrontare un “one to one” solo con i portieri. Di sicuro lavorare con i ragazzi dà soddisfazione, lo stress è inferiore, ma io vivo comunque il mio lavoro con passione. Quando uno dei miei prende gol è come se lo subissi io…

Si ringrazia per la gentile collaborazione l'ufficio stampa dell'AC Trento 1921.