Intervista esclusiva a Luca Mezzano: "All'Inter bei ricordi, ma la maglia del Toro è unica. Bilancio di Juric positivo. Thiago Motta? Se la Juve chiama..."
La nostra redazione ha intervistato l'ex difensore, prodotto del settore giovanile del Torino e vincitore della Coppa Uefa '98 con i nerazzurri. Il suo parere sul triennio granata targato Ivan Juric, sulla cavalcata della squadra di Inzaghi e anche sulla rivelazione Bologna.
Faccia da eterno ragazzo e cuore granata “puro”. Luca Mezzano è tuttora uno dei giocatori più amati dai tifosi del Torino, maglia indossata dall’ex difensore per sei stagioni non consecutive tra Serie A e Serie B, fino al fallimento del 2005. In mezzo il passaggio milionario all’Inter del Fenomeno Ronaldo, dove non è riuscito ad imporsi solo a causa di una lunghissima serie di infortuni, che hanno condizionato la crescita di un giocatore al quale non sarebbe mancato nulla per sfondare anche in nazionale. La nostra redazione ha chiesto a Mezzano, oggi allenatore dell’Under 16 del Chisola, un parere sulla stagione del Torino e su quella dei nerazzurri campioni d’Italia, ma anche di un’altra sua ex squadra, la rivelazione Bologna, nella quale Luca ha giocato per due anni proprio dopo l’addio al Torino.
Mezzano, grazie per aver accettato il nostro invito. Anche quest’anno, nonostante almeno un posto in più nelle coppe per le italiane, il Torino resterà probabilmente fuori dall’Europa. Che bilancio si può fare dell’era Juric che sembra avviarsi al termine? La squadra si è stabilizzata a metà classifica senza riuscire a crescere. Lei con il Toro ha giocato l’Intertoto: quanto sarebbe stato importante anche solo l’approdo in Conference League come segnale di crescita e di ambizione societaria?
Entrare in Conference League sarebbe un piccolo passo, ma importante, in particolare per i tifosi. L’Intertoto era un torneo minore, ma non dimentichiamo che il Torino ha giocato le Coppe anche pochi anni fa con Ventura e Mazzarri. La cavalcata in Uefa del 1992 che vissi da tifoso è un ricordo bellissimo, ma purtroppo il calcio è cambiato rispetto a quei tempi. Per bacino d’utenza e storia il Toro dovrebbe sempre ambire ad un posto in Europa, ma oggi c’è un divario molto ampio tra le big e le altre, in particolare a livello di forza economica. Quanto al Torino di Juric, il campo emette sempre un verdetto insindacabile. Se la squadra arriva al 10° posto da tre anni significa che i valori sono quelli. Ritengo però che Juric abbia lavorato bene, perché il Torino ha un’identità riconoscibile. La fase difensiva è stata tra le migliori del campionato e in questi tre anni sono state giocate anche buone partite contro le grandi. Se è mancato qualcosa è stato in attacco, dove è andato in doppia cifra solo Zapata e non sono arrivati i gol dei centrocampisti. Per arrivare in Europa serve qualcosa in più.
Oggi il Toro non ha bandiere in società neppure nel settore giovanile. Lei è stato allenato in prima squadra da tanti ex giocatori granata, da Lido Vieri a Camolese fino a Ezio Rossi e Zaccarelli. Inoltre il suo ultimo Toro aveva tanti ragazzi del vivaio in prima squadra, come Balzaretti, Comotto, Mantovani, Sorrentino e Quagliarella. Pensa che questa lacuna sia una delle cause dello scollamento sempre più evidente tra tifosi e società?
Io sono cresciuto nel vivaio e poi ho lavorato cinque anni nel settore giovanile da tecnico, ma purtroppo sono figlio di un altro calcio. Per me lavorare nel Torino ha avuto un sapore speciale, oggi le dinamiche di questo sport sono cambiate. L’importanza che veniva data in passato alla presenza di allenatori o dirigenti che conoscevano l’ambiente si è dispersa. Detto questo, il settore giovanile del Torino ha ottenuto risultati importanti negli ultimi anni, in particolare durante la gestione Bava, ma non solo. Si è anche riusciti a portare qualche giocatore in prima squadra. Non mi sento di giudicare negativamente quanto fatto dai dirigenti attuali.
Mezzano, la sua carriera di allenatore è iniziata proprio con il Torino nel settore giovanile, ma purtroppo il suo percorso in granata si è interrotto quando sembrava in ascesa. Ha mai pensato di allenare tra i grandi? Prenderebbe in considerazione una nuova chiamata del Torino?
La piazza granata ha sempre avuto un forte attaccamento agli ex e lo dico anche per esperienza personale perché ancora oggi ricevo attestati di stima e riconoscenza. Purtroppo però il Torino non è l’unica società nella quale non riescono a trovare spazio ex giocatori. Quando arrivano nuovi dirigenti è normale che portino uomini di fiducia. I valori nei quali credono i tifosi del Toro, e che anche io reputo molto importanti, nel calcio moderno contano molto meno. Per quanto riguarda me non c’è mai stata la possibilità di tornare dopo che me ne sono andato. Il mio futuro? Lavorare con i ragazzi è molto appagante, ma il futuro è tutto da scrivere. Quello che voglio è crescere come allenatore, migliorarmi di continuo. Poi dove arriverò lo dirà il campo.
La sua esperienza all’Inter fu segnata da diversi infortuni, eppure militò in nerazzurro in un’annata molto particolare ('97-98), sfiorando lo scudetto e vincendo la Coppa Uefa, giocando da titolare la famosa partita di Lione. Che ricordi ha di quel periodo? In un’intervista ha dichiarato che il playoff vinto con il Torino contro il Perugia nel 2005 è stato un’emozione superiore anche alla vittoria della Coppa Uefa. Che giudizio dà dell’annata dell’Inter di quest’anno tra il campionato dominato e il percorso in Champions League?
Ribadisco che a livello di emozione non c’è paragone tra la vittoria della Coppa Uefa, che pure fu una grande soddisfazione, al pari degli Europei vinti con l’Under 21 e le promozioni in A con Brescia e Chievo, e quanto provato durante e al termine di quella partita dei playoff. Ricordo lo stadio pieno con 70.000 persone e la gioia provata per quel traguardo raggiunto al termine di una stagione sofferta, sebbene a fine campionato il club sarebbe fallito. Quanto alla mia esperienza all’Inter la ricordo con piacere. Giocai molto poco perché mi infortunai quasi subito e rimasi fermo più di sette mesi, ma dividere lo spogliatoio con campioni come Ronaldo, vivere l’atmosfera della Pinetina, di San Siro e conoscere grandi dirigenti è qualcosa che resterà per sempre. Quest’anno l’Inter è stata straordinaria in campionato, vincendo anche grazie ad un gioco spettacolare. Il rimpianto per la Champions, però, resta. Ripetere la cavalcata dello scorso anno sarebbe stato difficile, ma superare almeno un altro turno era alla portata. Vedremo quest’estate in base a come si muoverà la società sul mercato se il prossimo anno riusciranno ad alzare ancora l’asticella.
Lei ha giocato in un Bologna molto diverso da quello attuale a iniziare dalla categoria. Cosa pensa del futuro di Thiago Motta? Farebbe bene a restare e giocarsi la Champions o la chiamata di un club come Juventus è proprio impossibile da rifiutare?
L’Inter è stata super, ma la vera sorpresa del campionato di quest’anno è stata il Bologna. Sono molto contento per quello che hanno saputo fare perché sono rimasto molto legato a quella piazza. Il mio era un Bologna molto diverso da quello attuale, eravamo in Serie B, ma conservo ricordi bellissimi di una città meravigliosa nella quale sono stato molto bene e di persone molto ospitali. Thiago Motta ha fatto un lavoro eccezionale proponendo un calcio moderno che è poi quello che piace a me. Un calcio fatto di possesso, costruzione dal basso, rotazioni frequenti e interscambi di ruoli, con nessun riferimento fisso a livello di moduli. L’idea di restare un’altra stagione è affascinante, ma per un allenatore emergente rifiutare un club come la Juventus è molto difficile. A meno che il Bologna non metta sul piatto cifre importanti a livello d’ingaggio e non trattenga tutti i migliori.