Il Torino, Juric e Willie Peyote: la specificità di una piazza che non sa trovare pace
Lo stadio quasi pieno per la sfida contro la Salernitana e poi la disillusione. Non solo per l'esito della partita. Il popolo granata è rimpiombato nello sconforto e si ritrova nel pieno della solita stagione anonima. Il tecnico prepara l'addio, mentre un tifoso illustre scuote le coscienze. Dove sta la verità
Dal sogno collettivo alla depressione. Sfociata poi in rabbia e frustrazione. Il Torino ci è ricascato. L’entusiasmo dettato dalla bella vittoria di Cagliari e in generale dal buon mese di gennaio vissuto dalla squadra di Juric si è scontrato con il grigio pareggio casalingo contro la Salernitana. Uno 0-0 neppure poi così stretto ai padroni di casa, ai quali non è bastato neppure avere uno stadio insolitamente gremito per avere ragione dell’ultima in classifica. L’occasione era propizia per avvicinare la zona Europa e invece ancora una volta il Toro ha mancato il salto di qualità. Come se non bastasse, a trasformare appunto la delusione in amarezza sono state le parole pronunciate dallo stesso Juric al termine della partita.
Willie Peyote tifoso "filosofo": il popolo granata si spacca
Il tecnico croato ha in sostanza puntato il dito verso gli stessi tifosi, rivendicando il fatto che per troppe volte durante la stagione la squadra abbia giocato anche partite importanti in una cornice di pubblico non adeguata. In sostanza il concetto è che contro la Salernitana c’era lo stadio quasi esaurito “solo” perché si veniva da una striscia di buoni risultati. Invece, appena le cose vanno meno bene la rassegnazione farebbe troppo presto capolino nel cuore del popolo granata. A suffragio delle proprie idee Juric ha evocato le parole pronunciate pochi giorni prima da Guglielmo Bruno, per tutti Willie Peyote. Uno che non è banale quando canta e neppure quando parla. In una recente intervista a Toronews il cantautore aveva espresso un concetto simile a quello di Juric: “In altri stadi vedo quella leggerezza che manca a Torino. I tifosi granata si arrabbiano troppo in fretta e hanno un palato fine non giustificato dagli ultimi trent’anni".
Juric e un addio scritto: perché "forzarlo"?
Fin qui i fatti, ai quali va aggiunta la tutt’altro che trascurabile conferenza stampa straordinaria indetta dallo stesso Juric lunedì per anticipare il proprio addio qualora a fine campionato il Toro non centrasse la qualificazione a una coppa europea. Assegnare ragione e torto sarebbe semplicistico. Quel che si può dire è che a pronunciare parole così divisive è stato lo stesso allenatore che non più tardi di tre mesi fa, dopo l’ennesimo derby perso quasi in modo rassegnato, si era presentato in sala stampa con le lacrime agli occhi. Scusandosi per non essere (ancora) riuscito “a dare ai tifosi le gioie che meritano”. Può la situazione essersi ribaltata così repentinamente? Dopo un periodo di discreti risultati e dopo un mercato invernale dignitoso? Il contratto di Juric scadrà a fine stagione e quel che si sa è che da nessuna delle due parti è mai iniziato un ragionamento per il rinnovo. Con o senza Europa. Questa mossa “alla Mourinho”, per distogliere l’attenzione dall’incapacità della squadra di svoltare quando serve, appare quindi vagamente contraddittoria. Tuttavia non può essere considerata propedeutica ad un addio nell’aria da tempo.
Torino, dietro a quel salto di qualità che non arriva
Piuttosto a tradire Juric è stato ancora una volta il suo impulso. Quello che nell’estate 2022 lo aveva portato a scontarsi quasi fisicamente con il ds Vagnati. Da quel momento la strategia dell’allenatore è cambiata. Ad un altro mea culpa fece infatti seguito più diplomazia, almeno in pubblico, nel parlare dei rapporti con la dirigenza. Negli ultimi tre anni il Toro non si è certo svenato sul mercato e questa è una valida ragione per spiegare il perché la squadra non riesca a schiodarsi dalla mediocrità. Quella che il Bologna ha lasciato da quasi un anno, ma dopo tante stagioni anonime. Per farcela c’è stato bisogno di una proprietà disposta a investire, di dirigenti illuminati e di un allenatore non molto meno divisivo di Juric, ma sicuramente meno integralista. Anche a Bologna lo stadio ha ripreso a riempirsi in maniera significativa dopo che i risultati sono migliorati, come del resto accade quasi ovunque. Detto questo il Torino ha fatto poco sul campo per trascinare i propri tifosi, ma ciò non toglie che le parole di Peyote abbiano un fondo di verità. Il prossimo 4 maggio saranno passati 75 anni dalla tragedia di Superga, che ha segnato la fine di una delle squadre più forti del calcio italiano di tutti i tempi.
Il Torino e l'ingombrante peso di un passato vincente
Da quel giorno il Torino è stato competitivo ad alti livelli solo per un paio di frangenti. Nella seconda metà degli anni ’70, anche prima dello scudetto del 1976, e poi nei primi ’90, con la finale di Coppa Uefa '92 e la vittoria della Coppa Italia ’93. Un’epoca che però segnò di fatto l’inizio della fine sul piano societario, sfociata nel fallimento del 2005. Un lustro di gloria in 80 anni è quello che hanno vissuto Cagliari e Verona e meno della durata della Sampd’Oro. Non abbastanza per spingere il pur appassionatissimo popolo granata a ignorare la realtà. Ovvero che la gloria del passato non è una cambiale da riscuotere decenni dopo e soprattutto che a nulla serve ignorare la specificità della città di Torino. L’unica in Europa insieme a Barcellona in cui c’è un divario simile, tecnico ed economico, tra due squadre "cugine". Un anno di Europa (è già successo) non cambierebbe la storia del club. Prenderne atto potrebbe servire a vivere meglio anche queste stagioni senza acuti, ma lontane dai tempi in cui la squadra perdeva a Licata e Castel di Sangro. E anche ad accogliere nel modo migliore il futuro allenatore. Nella speranza che questi sbagli meno interventi a gamba tesa. Più fuori che dentro il campo.